Pianta arbustiva di 4-8 dm;
Rami ascendenti, lisci, legnosi alla base e farinosi all’apice;
Foglie alterne, carnose, con un picciolo di 3-10 mm e lamina intera ovale o subrotonda; base tronca o leggermente cuoriforme; apice arrotondato senza mucrone; stipole precocemente caduche;
Fiori ermafroditi, profumati, isolati all’ascella delle foglie superiori su piccioli di 3-8 cm; boccioli di 8-13 mm; 4 sepali caduchi; 4 petali obovati bianco-rosei; stami numerosi, violacei verso l’apice e biancastri alla base;
Bacche ovoidali-allungate (rar. piriformi), verdi, rossicce a maturazione ricche di semi reniformi nerastri.
La parola latina capparis per alcuni deriva dal greco Kápparis, per altri da Kýpros (Cipro), dove questa specie è abbondantemente diffusa, o dall'arabo Kabar; l'origine di questo termine è quindi poco certa. Spinosa, per le spine che ha alle ascelle fogliari.
Il cappero è stato citato per la prima volta nella Bibbia, in relazione al suo potenziale afrodisiaco e ancora oggi in Marocco è ampliamente diffuso per questo uso. I suoi utilizzi medicinali e terapeutici erano ben conosciuti nella Grecia antica, da Ippocrate ad Aristotele e Teofrasto.
Si narra che di questa specie facessse costantemente uso cosmetico Frine, la modella di cui si servì lo scultore Prassitele per la statua di Afrodite. La lucertola, che è ghiotta del succo dei frutti dei capperi, ne porta in giro i semi che le restano appiccicati al corpo, e finisce per seminarli negli anfratti dei muri, facendo germinare nuove piantine.
Il “cappero", non è il frutto, bensì il bocciolo fiorale non ancora schiuso, che va presto raccolto perché sboccerebbe nell'arco delle 24-48 ore successive alla sua comparsa. Anche il frutto è, comunque, commestibile.
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