Pianta erbacea perenne di 10-25 cm con radice fusiforme ± ingrossata;
Fusto ascendente o eretto, con 2 linee di peli e ± irsuto in basso;
Foglie lineari–lanceolate, pennatosette con segmenti profondamente dentati;
Fiori riuniti in una spiga densa, breve, troncata all'apice; brattee pennatosette pubescenti; calice peloso sul tubo, con denti incisi, l'aspetto è simile a quello dei segmenti fogliari; corolla gialla bilabiata, con labbro superiore falcato e becco allungato;
Capsula appuntita superante il calice di 2-3 mm.
Controversa è, non l'etimologia, sicuramente dal latino pedicularis = dei pidocchi, ma il motivo dell'attribuzione di questo epiteto. Per alcuni, queste piante li farebbero morire, ed è in questo senso che fu adottato il nome da Linneo. Secondo John Ray (1627-1705), botanico e teologo a Cambridge (Historia plantarum, 1686), questo genere è invece così chiamato perché le specie che lo compongono presentano delle rugosità simili a pidocchi. Infine, S. Landi, ne I fiori dell'Appennino centrale, sostiene che il nome del genere deriva sì da pediculus = pidocchio, ma perché nel Medio Evo si pensava erroneamente che questo genere di piante fossero in grado di infestare gli animali domestici ed in particolare le pecore con il parassita indicato. Sempre l'autore sostiene che molto probabilmente tale credenza sarebbe derivata dal fatto che le Pedicularis venivano "inquinate" da larve di Fasciola hepatica, terribile parassita che distruggeva il fegato delle pecore che si infettavano semplicemente brucando.
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